giovedì 7 giugno 2018

FIRENZE 14 APRILE 2018



RELAZIONE DI ROSANNA INTINI

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RELAZIONE DI ANTONIO BARTALUCCI


LO SGUARDO DELLA MORALE.
ETICA, VOLONTÀ E RESPONSABILITÀ NELLA RELAZIONE
Di Antonio Bartalucci
 Docente di Teologia Morale presso I.S.R.S.,  già Assistente etico del Consultorio “La famiglia” di Siena

 “Ma io ho bisogno di te!”
disse lui davanti a lei che lo aveva lasciato.
“Sì, -rispose lei- ma questo che c’entra con l’amore”
(C. Bobin, Folli i miei passi)

    Lo sguardo della morale diverso da quello della psicologia, diverso ma non estraneo nel senso che vede le stesse cose (sensazioni, scelte, azioni, emozioni, ecc…) da un diverso punto di vista: non c’è solo il proprio io da assecondare e da accarezzare per un equilibrio da trovare e custodire, ma anche un orizzonte di valore (l’Altro, gli Altri), di bene che è capace di affascinare e orientare all’agire pur senza essere necessario. Questo sguardo ulteriore è necessario per la complessità del soggetto umano che ha una poliedrica personalità: è un soggetto morale oltre che psicologico, teologico, economico, estetico e sociale. Non è sempre facile coordinare queste sfaccettature così diverse.. Ma nessun sapere può dirsi esaustivo nella comprensione dell’umano.
   Mi muoverò in questo modo:
1.     Quale il senso della morale che non è il “no” detto e la limitazione imposta, ma l’orizzonte di senso che permette un agire significativo;
2.     La relazione come problema morale ancorché essenziale, che parte da un peccato originale (c’è anche al di fuori della fede);
3.     In terzo luogo la relazione segnata dalla dimensione sessuale da custodire nello sforzo dell’educazione morale.

 Lo sguardo della morale
   Cos’è la morale? Scienza del senso che dirige l’azione. E’ la libertà che affascinata dal bene, da ciò che è giusto e vero vive in corrispondenza del vero,del bene, del giusto.
Non si tratta di imporre regole da rispettare, quasi a limitare una libertà che sembra essere valore assoluto per dire la grandezza umana, ma di far emergere quel bene che solo è capace di conquistare la libertà fin quasi a “costringerla” a seguire il bene. Non si tratta di dire un ‘no, no, no’ ma di scoprire cosa si apre di alternative di senso e di azione quando si scopre ciò che vale.
   Diceva Saint-Exupery: “Se vuoi che gli uomini costruiscano la nave per attraversare il mare non star lì a far loro lezioni sui chiodi e sul legno e sulle assi che devono usare, sulle vele e sui chiodi e sulle misure da tenere…fai venire nel loro cuore il gusto e la nostalgia del mare infinito. E avrai una grande nave già fatta!”
   Questo sforzo è l’educazione: la scoperta dell’umano in tutta la sua verità e bellezza, di quell’infinito che ci abita e al quale aspiriamo… la morale poi viene da sola! Ma la cosa non è poi così semplice!
   Ora se riteniamo giusto non proporre vie da seguire, la stessa cosa non avviene con il nostro mondo:
   Se lo sguardo filosofico attuale conduce allo scetticismo e alla negazione di valori assoluti e veri per tutti, e se –anche ci fossero- ci sarebbe una invalicabile incapacità a riconoscerli, questo non può pretendere di paralizzare tutti. Ci sono altre vie filosofiche (da Husserl a Levinas) e teologiche che partono dal presupposto che non posso comprendere chi sono, non posso comprendere me stesso se non nel rapporto con gli altri.
   Ma su questa strada si afferma che io mi costituisco proprio nel mio rapporto con l’altro; di fatto io non posso avere piena consapevolezza di me stesso se non in rapporto con l’altro. Si arriva alla conclusione che il rapporto con l’altro -nella nudità del volto- esiste sempre come problema fondamentale dell’etica. E questo tema si dà con un’alternativa secca: o l’altro è strumento ed ostacolo per la mia realizzazione oppure è parte essenziale della mia realizzazione. Questo potrebbe essere un primum ethicum della vita morale.

Questa alternativa è chiara nella elaborazione di progetti antropologici che indirizzano la nostra esistenza, progetti che manifestano la direzione della propria realizzazione: quale modello di persona e di umanità voglio realizzare?

    Se pure il mondo della riflessione filosofica nega la possibilità e l’efficacia di tali progetti perché la ragione debole è incompetente ed incapace, nella nostra cultura se ne impongono alcuni ben delineati e ben organizzati che soddisfano le esigenze di ciascuno. Non si tratta di imporre ma di proporre! C’è il progetto che valuta utilitaristicamente i propri vantaggi e quello che si apre ai fratelli, se non proprio all’amore, almeno in un doveroso rispetto. Quello che si misura in esteriorità compiacente e auto centrata o quello che sa edificare anche nella profondità della propria interiorità. Quello materialista scientista che tutto valuta e tutto misura per possedere o quello che si apre al dono di sé e alla dimensione trascendente.
   Qui bisogna operare una scelta, è inevitabile! E la scelta si fa nelle motivazioni e nelle azioni. Sull’altro, vera sorgente della morale, mi gioco la vita.

Ma a questo punto la morale entra con due postulati:
  1. Bisogna affermare con forza che la dimensione morale è presente in tutte le persone, la percezione del bene e del male è forse proprio il distintivo della natura umana, i contenuti possono variare ma non il senso del bene e del male. Indignazione lo testimonia.
E’ da dire che la dimensione morale non ha esito positivo scontato ma, come ogni altra dimensione umana, va educata e sostenuta nella crescita.
Si tratta di aiutare la persona ad esercitare la propria dimensione morale, renderla capace di orientare la propria libertà e la propria volontà alla realizzazione dei valori, al raggiungimento della propria dignità e umanità.
Questa umanità si esprime in freschezza nella percezione e nella accettazione dei valori. Quando si parla di valori bisogna stare attenti: valore (aspetto che realizza la persona) è cosa diversa dal bisogno, o, meglio, ogni valore è un bisogno ma non ogni bisogno è valore (amore alla verità e coca cola, l’amore che mi realizza e l’amore che sa essere fedele, l’amore che sento e l’amore che voglio volere), un valore negato comporta inevitabilmente una mancata umanizzazione. Ciò che qualifica l’uomo, questo è valore.
  1. Ma, ed è il secondo postulato, nella scelta io costruisco la mia identità. E’ vero che c’è un’idea di fondo, un progetto ma è il comportamento che struttura e dona corposità alla identità, a quello che voglio essere.
Io sono e divento quello che faccio. Questo contro ogni presunta neutralità e banalità dell’agire. L’agire morale nel momento in cui si esercita ha una doppia vettorialità: da una parte compie un’azione (buono o cattivo) come persona con lo spessore morale che gli viene dal suo agire. Le azioni buone mi fanno buono, le azioni cattive mi fanno cattivo. Divento bugiardo dicendo bugie, quali che siano le motivazioni della mia psiche. Quando le dico mi costruisco come bugiardo; per diventare infedele devo tradire l’amore, per diventare ladri bisogna rubare!
Quale il motivo di questa ricaduta dell’agire sull’agente, della rilevanza per chi agisce del proprio operare? L’agire umano porta sempre il marchio dell’uomo, la sua inconfondibile caratteristica, il fatto che procede da una persona, capace di sé, di auto comprensione e di autodeterminazione. L’agire ha come autore e come attore la persona stessa. In ogni azione c’è il tratto inconfondibile del soggetto che si realizza tramite il suo agire.
Il soggetto razionale quando agisce dimostra di essere dotato di ragione perché agisce per uno scopo, per una meta, ha di mira qualche cosa: punta verso qualcosa (in-tendere). Per l’uomo questo non è automatico e neppure istintivo: sa di volere e di potere.
Insomma l’agire dell’uomo prima di avere conseguenze ha significati e ne ha perché il soggetto agente è consapevole.
Nell’agire la persona sceglie se stessa, agendo in un modo piuttosto che in un altro. Ogni azione è costruzione di sé e quindi identificazione di sé. Ogni persona lavora a se stessa, come Michelangelo al blocco di marmo, per far venire fuori l’opera d’arte che noi siamo. E così, pian piano la persona diventa se stessa, perché essa non è ciò che si è trovata ad essere, ma è ciò che responsabilmente e consapevolmente ha scelto di essere.
In campo morale non fanno la differenza le diversità della lotteria naturale e culturale, ma il modo in cui sono eseguite queste possibilità. Figli di papaà o no, hanno entrambi la stessa possibilità di esperienza morale dove nessuno parte avvantaggiato, perché qui i vantaggi sociali non contano.
Di fronte al compito morale di realizzare se stessi siamo tutti uguali, pur diversi nei risultati che però non fanno differenza morale ma solo sociale. Le speranze di un bambino del Darfur di diventare ingegnere sono minimali rispetto ad un bambino italiano, ma entrambi hanno le stesse possibilità di essere buoni o cattivi e questo è il risultato di una scelta libera e noi siamo così, in certo modo, i nostri stessi genitori, creandoci come vogliamo, e con la nostra scelta dandoci la forma che vogliamo.
Si tratta di prendere coscienza che esercitando le facoltà morali, l’agire, la libertà, la coscienza e la legge morale noi diamo vita alla nostra identità.

Nota. L’orientamento cristiano, ma credo profondamente umano, non potrà che essere questo,  un’idea nuova di Dio: Dio puro dono, pura benevolenza. La fede in Dio non è solo credere in un Dio creatore, ordinatore e giudice, ma credere che l’Eterno è puro dono. Questa è la fede cristiana. Questa è la base della morale cristiana. Il principio della moralità è l’altro che mi sta di fronte. Il dono di sé la strategia migliore per la propria realizzazione. Non è il comandamento l’unico comandamento?
Il senso dell’esistenza? Il vivere donati! Totalmente (Chiavacci vostro maestro ve l’ha insegnato). La morale di un soggetto che esclude il ripiegamento su se stessi.

La relazione, valore e problema
   Abbiamo detto che l’alterità fonda la morale perché è dalla presenza dell’altro che scaturisce la responsabilità, che rende il soggetto doverosamente rivolto all’altro; l’altro suscita l’uscita da sé e propone una nuova avventura che, se parte dalla propria connaturale esigenza morale, trova spazio e si esplica nell’altro. Il comandamento dell’amore non dice forse questo? Il tuo prossimo è il fondamento del tuo agire morale e della tua capacità di costruire la tua personalità.
La relazione, valore morale fondamentale, si pone come problema morale perché in qualche modo segnata da una sorta di peccato originale che la rende sempre conflittuale, difficoltosa e faticosa. Insomma mai facile.
Non voglio che uno creda al peccato originale così come ce lo consegna la Scrittura al tempo della creazione, ma di sicuro ognuno avverte che ogni relazione è segnata sin dall’inizio da una distorsione che le impedisce di essere naturale e duratura. Un danno ci deve essere stato, e la situazione ce lo conferma, qualunque sia la spiegazione.
E’ la cosa più bella eppure la più faticosa. Moralmente risponde alla chiamata all’amore vissuto o negato o, meglio, distorto a seconda della percezione con la quale viene vissuto e accolto l’altro. In questa percezione negativa la persona si chiude e resta vittima nella paura e nella solitudine e fa di tutto (aggressività, violenza, indifferenza, ecc.) pur di salvare se stesso. Pensa di essere in relazione ma non esce da se stesso e dalle sue fantasie.
Questa distorsione colpisce il mondo più intimo, proprio là dove si gioca il rapporto maschile-femminile perché nella crescita dell’adolescenza si risveglia la sessualità come realtà poderosa che, in nome del piacere, sottomette tutto con passione incontrollata. In tal modo essa può soggiogare la persona illudendola di essere in relazione per il solo fatto che trova la sua soddisfazione. In questo modo si opera lo scisma, la rottura della persona: un corpo che nono riesce a far parte di una persona che ama, una psiche che non sa integrarsi in una identità personale. E’ la modalità di vedere, capire e sentire l’altro che decide il mio comportamento che a sua volta sempre più intensamente ed intimamente mi rende somigliante all’immagine che ho dell’altro.
Insomma: il sesso può diventare un senso deviante verso se stessi – usa il corpo come soddisfazione; verso il mondo – perché trasferisce nel mondo lo stesso rapporto vorace che ha con il corpo altrui; verso gli altri – perché il sesso diventa l’ambito della negazione della relazione uomo-donna riducendo l’altro a strumento di soddisfazione.
Ma c’è un particolare che un teologo mette in evidenza e che credo possa servire alla nostra riflessione. Il gesto di Dio che corona la cacciata dal Paradiso terrestre: la foglia, o come dice la Bibbia li rivestì di tuniche perché fosse salvaguardata la possibilità di uscire da se stessi. La nudità protetta sta a significarla necessità di custodire gli organi sessuali che sono gli strumenti che, a certe condizioni, permettono all’uomo e alla donna di uscire da se stessi; la forza dell’eros farà in modo che la ricerca dell’altro costringa il soggetto ad uscire da se stesso, ad abbandonare le proprie terre per andare a cercare e a trovare l’altro. Una struttura per uscire dal proprio egoismo. Un tesoro da custodire bene in vista del dono di sé che condurrà ad un cammino verso la comunione.
La relazione è sempre e comunque segnata dalla differenza sessuale che ne determina lo statuto e i comportamenti. Non è un dato di fede ma un dato antropologico che mette in guardia sulla presunta innocenza della sessualità e della sua neutralità.

La relazione segnata dalla sessualità
In terzo luogo la relazione segnata dalla dimensione sessuale necessita dello sforzo educativo della morale, se vuoi vedere nascere e crescere una relazione la devi anche custodire. Con le premesse poste, si tratta ora di individuare come la relazione segnata dalla dimensione sessuale si apra ad una comunione infinita, sia a esiti di tragica strumentalizzazione con la costruzione o frantumazione interiore dei soggetti in gioco.
Si tratta in primo luogo di dare un senso alla sessualità, senso di un progetto antropologico, senso che è quella nostalgia che permette alla persona, uomo o donna che sia, di trovare la direzione del proprio agire. Non mi dite che è un senso che io metto: è una proposta. Se volete inedita per tanti, che sta di fronte ad altrettante proposte di diversi progetti antropologici. Non si tratta di imporre ma di aiutare a scoprire il meglio! Vengo da Montalcino: un conto è bere un bicchiere di vino e un conto è bere un buon bicchiere di Brunello … nessuna forzatura, ma il meglio resta il meglio. Posso mangiare anche con il Tavernello, e mi disseto e va meglio giù il pasto … ma meglio se è un Brunello. Capite la differenza. E’ il meglio solo per me? Se c’è qualcosa che vale, che riempie di senso e risponde ad un progetto che realizza, non ho paura a proporlo. Certo non a tutti piacerà il Brunello …. ma non toglie che rimanga il Brunello!
La sessualità, se un senso globale può averlo, accanto al valore comunicativo, identitario,  relazionale e piacevole, a me piace pensarlo, come vocazione all’amore scritta nella carne. Non è una definizione, impossibile, ma un orizzonte che è capace di affascinare (dimensione teologico morale).
Questo vuol dire che è più una domanda che chiama all’unità tutta la persona, che una risposta; vuol dire che –e qui si toglie ogni ambiguità- è in funzione e in vista dell’amore: avviene nella concretezza della carne.
Aggiungi anche la comprensione dell’eros, che ha la sua verità, come insegna Benedetto nella DCE: deve ricomporre in unità tutto l’umano dato dalla carne e tutto lo spirituale dato dallo spirito: un amore che unisce terra e cielo che sono – nell’uomo- inseparabili. La carne diviene espressione dell’amore, e l’amore non può esprimersi senza carne.
Ma se questo senso c’è, esso non è ovvio e scontato, non viene da solo, ma ha bisogno di essere educato, tirato fuori dalla sincera ricerca e nello sforzo della volontà.
Oggi tanto più difficile perché il contesto sociale dimentica con facilità che essa è significativa per la persona nella sua crescita integrata, nella sua identità e nella forza della relazione. Troppe scissioni hanno scompaginato – se mai sia stato scompaginato – il senso della sessualità: amore e sesso; sesso e fecondità; sesso e responsabilità; sesso e impegno morale: fai ciò che vuoi… Tutto deve essere naturale.
Nota Sessualità è il mondo delle regole e oggi ci sono e sono ferree. Il potere non sopporta che la sessualità sia senza norme. E’ pericolosa. Prima il controllo era nel segno del limite e del divieto e affidato all’istituzione sociale e religiosa: non usare la sessualità se non entro il contesto del matrimonio; ora il controllo è ancor più stretto ma non nel senso del divieto, ma nel senso del trasgredire: e quando tutti si comportano trasgredendo tabù ed interdetti, sono convinti di essere felici perché fanno come tutti, ma in questo modo tutti sono controllati. Il non conformismo (oggettivazione del sesso e attivismo del piacere[1]) diviene strumento di integrazione sociale. In questo senso la maggior privatizzazione della vita sessuale consente il controllo sociale più rigoroso.
Ma il problema è che la libera trasgressione non è neutro consumo di piacere, ma mi conforma ad una modalità di umanità nella quale l’altro è pensato in funzione del piacere, in cui io sono senza alternative davanti al bisogno del piacere che sempre tende ad assolutizzarsi e a riprodursi.
Il problema è che quando ti metti addosso te stesso, quando non trovi orizzonti che non siano altri da te e neppure l’amata/o sono capaci di farti uscire da te stesso, la vedo dura pensare che sia possibile vivere relazioni.
Anche la sessualità che dovrebbe aiutare ad uscire non fa altro che confermare il grandioso e piacevole senso di sé che nel piacere trova una fallace conferma della propria capacità relazionale, comunicativa e identitaria. E’ facile fare l’amore, difficile e faticosa la relazione che chiede ascolto, attenzione, premura, prendersi cura. Quest’ultima è bruciata dalla rapidità del piacere: tutto e subito senza volere l’attesa, la presa in carico e la preoccupazione e la cura verso l’altro.
La vita di relazione si rivela con due facce diverse anche se a volte sembrano incontrarsi: o si va alla ricerca di sé e della propria autorealizzazione o si va verso il dono di sé.
Nel primo caso la relazione diviene lo strumento per superare la paura e la solitudine e viene cercata per colmare un bisogno; nel secondo caso è eccedenza del dono di sé che si apre generoso all’alterità.
Se si parte dal bisogno l’altro non potrà che essere strumentalizzato come rispondente al mio bisogno e qui si fa necessaria la critica al narcisismo[2] (volto psicologico dell’utilitarismo economico e sociale; quale sia l’originale è questione da uovo e gallina).
Il bisogno si manifesta attraverso un’emozione (reazione ai valori sessuali propri dell’altro a livello psichico, biologico e spirituale) che mi sovrasta e rende passivo. L’emozione è soggettiva, strettamente personale e l’apertura all’altro rischia di fermarsi all’aspetto fisico. Si pone la necessità di passare dall’aspetto fisico alla interezza della persona, cosa che normalmente avviene nella fase dell’innamoramento. Siamo nell’ambito del bisogno: l’emozione suscita una tensione che fa sentire buono e gratificante l’azione che mira alla soddisfazione del bisogno. E’ relazione, ma se il bisogno è predominante, è troppo tendente a favore del soggetto che ha di mira la soddisfazione dello stato emotivo affettivo.
Questo appoggiarsi unicamente al bisogno (mai negabile) e sui sentimenti conseguenti, è quella che viene chiamata auto-realizzazione: il soggetto, entrando in rapporto con l’altro persegue la sua verità soggettiva. Il motivo di fondo è di arrivare all’auto-realizzazione il cui metro di misura è la soluzione della tensione emotiva provocata dall’attrazione sessuale. Ma il metro di misura rischia di essere il bisogno, una relazione centrata sul bisogno. C’è il dovere di centrarsi sul bisogno della propria soddisfazione e della propria crescita.
Quello che è paradossale è che il bisogno alla fine non si trova saziato perché l’accento è continuamente spostato, in nome del bisogno, su quello che sento e provo in riferimento all’altro con una conseguente chiusura sui propri stati emotivi. Ma questo rende impossibile la relazione interpersonale e il soggetto rimane solo. E’ la cultura del narcisismo: la propria crescita, la propria integrazione, il proprio sviluppo, i propri valori, i propri diritti sessuali (vedi nota 2).
E’ la logica del sé e del bisogno che non può che ridurre l’altro a qualcosa di utile da usare. Non importa incontrare. Il bisogno chiude in se stessi e conduce alla conflittualità perché non offre soluzioni soddisfacenti alla dimensione interpersonale (niente relazione).
   Bisogna uscire dal bisogno per riuscire ad armonizzare le due dimensioni, realizzare se stessi e realizzare una vera relazione, ma senza negare il bisogno.
Siamo alla relazione come auto-trascendenza, auto-donazione: andare oltre il bisogno ma senza negare la verità che il bisogno contiene. La rinuncia o è masochista (e allora il bisogno riemerge) o è fatta per amore, come dono al valore altrui che merita l’omaggio della mia libertà, sempre che valga tanto!
Il dono di sé non può essere imposto perché frutto solamente della libera volontà del soggetto; è indispensabile per una autentica relazione personale ma non può essere soddisfatta che dalla libera volontà del soggetto che fa di sé libero dono all’altro. Ma dietro c’è uno sforzo morale notevole: imparare a controllare il bisogno, apprezzare l’altro, non chiudersi nel proprio compiacimento.
Ma non può avvenire senza educazione morale. Non è automatico!

Educazione morale
Se in questo mondo mettete ancora la carenza educativa (in questo settore proprio dismessa perché noi educatori non sappiamo parlare di questo e non ce lo chiedono più, ci sono altre vie) che lascia passare tutto quello che è gratificazione e abbondanza di possibilità di consumo di sesso, ormai non più impossibile a nessuno, si capisce che il mondo si costruisce –e non può che essere così- su pilastri che sono connotati dalla strutturale fragilità e dalla debolezza della ricerca della propria auto gratificazione. Tutto un problema di scelte e conseguenze: se vivo sfarfallii non posso che attendermi sfarfallii e dovrò sopportarli.
Provo velocemente a delineare i punti di riferimento essenziali, le strutture morali personali che devono essere aiutate e sostenute perché la persona possa arrivare alla piena capacità operativa delle proprie facoltà morali necessarie per stabilire relazioni umanizzanti e soddisfacenti.
1)    L’educazione non potrà che essere accompagnamento alla scoperta dei valori del senso della relazione/sessualità. Sembra scontato e banale quello che dico, ma è la vertità: mancano modelli di riferimento e di identificazione. E’ molto difficile parlare di amore alla verità, di amore alla giustizia, all’onestà, alla bontà, alla tolleranza, alla fedeltà ecc. (tutte virtù necessarie alle relazioni buone), perché rimangono troppo spesso astratte, senza riferimento alla realtà. Si vede molto bene il contrario; la falsità, l’ingiustizia, la disonestà, i tradimenti rendono molto di più dei rispettivi valori. La nostra responsabilità di adulti e di educatori ci costringe a rendere visibili questi valori positivi.
Chi volete che altrimenti insegni loro certi atteggiamenti positivi?
Per esempio: è un valore il rispetto per le diversità, la fedeltà e la tolleranza; ma queste passano per atteggiamenti di ospitalità, di accoglienza, di rispetto, di attenzione, di lotta che noi sappiamo vivere nei confronti di coloro che sono in relazione con noi e dei quali ci prendiamo cura. Non ci vuole molto a far crescere un intollerante sempre arrabbiato! Un don Giovanni sempre a caccia. Educare ai valori vuol dire farli vedere incarnati e veri e capaci di donare gioia.
La ricerca dei valori non può arrestarsi mai se non vogliamo che i nostri ragazzi si fermino alla mediocrità,  facile e poco impegnativa ma che dona solo persone mediocri!
Mettere davanti alte mete (ma chi lo sta facendo?) vuol dire liberare dalle pastoie del consumo che genera morchia (la fondata dell’olio) poco appetibile. A qualcuno certi orizzonti alti –gli ideali, ricordate?- non sono mai stati proposti. Che miseria!!! Se non sai perché e per chi vivi, perdi tutto.
2)    L’educazione non potrà che essere accompagnamento all’esercizio della libertà perché ciascuno possa vivere in autonomia e stabilire relazioni cercate, volute e sostenute.
Esiste una libertà di diritto per il semplice fatto che sono persona umana, ma questa libertà deve diventare di fatto: abituale esercizio dell’agire in riferimento al bene, al senso, allo scopo che mi sono dato.
Sembra oggi scontata la nostra dimensione di libertà: siamo tutti liberi per il fatto che si fa come ci pare. Avrei grosse difficoltà a chiamare questa libertà. Libertà è la capacità che uno ha di determinarsi da solo in riferimento al bene, a ciò che vale e, scoperto, ha la capacità di affascinare la libertà: so quale è il valore da realizzare e sono libero nella misura in cui raggiungo questo obiettivo. Diversamente la schiavitù mi sovrasta. Lo strano è che la schiavitù è sempre dorata e colorata anche se poi offre solo grigie soddisfazioni.
E’ vero che sono condizionato da tanti fattori (genetici, culturali, familiari, caratteriali, ecc.) che possono confondere la mia facoltà di giudizio (posso scambiare un male per bene perché soffro (eutanasia), perché sono bisognoso (rubo) ma rimane sempre la mia capacità di decisione, di orientarmi verso ciò che porta a compimento la mia dignità umana (=il bene) almeno secondo la mia coscienza.
3)    L’educazione non potrà che essere accompagnamento alla fortificazione della volontà. Chi darà la forza per essere fedeli al raggiungimento dei valori quando si sa bene che essi richiedono sacrificio, sforzo, impegno e quando sempre meno siamo abituati ad essere fedeli al nostro cammino? I nostri ragazzi –tutti gli esseri umani- sono fragili. Per questo hanno bisogno di essere accompagnati nel diventare forti davanti alle difficoltà, a tirare fuori le energie, a soffrire per quello che è bello e buono e non gettare subito la spugna al primo colpo al mento. Troppi la vita ne darà. Ma non è forse colpa nostra che facciamo in modo che non debbano mai sacrificarsi, che non debbano mai mettere in moto le loro energie? Non li teniamo forse come pulcini nella bambagia? Non usiamo più la parola NO e li vorremmo senza problemi e per questo felici. Grande inganno!
Se poi di fronte alla difficoltà della vita crollano, non è forse perché non sono mai stati allenati ad esercitare il bagaglio immenso delle loro possibilità? Insomma sono convinto che una vita resa facile e sempre piana non aiuta la crescita morale, rattrappisce i muscoli e le forze necessarie alla lotta. Prima o poi la vita –che non fa sconti- ti misura e ti morde. E lì si vede lo spessore della persona. Ci torno subito.
4)    L’educazione non potrà che essere guida alla scoperta del senso e del rispetto della legge morale.
Oggi sembra che la legge sia il nemico numero uno della libertà umana: la si vede come la costrizione che delimita e mortifica la nostra libertà. Bisogna imparare a scoprirne il senso. E’ un segnale della insufficienza umana che ha bisogno di sapere quali siano le vie maestre per arrivare al Bene. Non tutte le strade sono buone, non tutte le strade conducono ad una buona relazione. Ci sono dei sentieri che devono essere percorsi se non vogliamo fallire il nostro scopo.
Se avremo la costanza e la pazienza di continuare questo cammino i frutti verranno fuori: una persona che sa amare e volere il bene, qualunque cosa costi perché è forte nella sua volontà; capace di non lasciarsi trascinare e condurre da tutti i venti ma fedele alla verità che avrà scoperto e che ama (forte nella libertà) ; capace di non arrangiarsi nella vita perché tanto non vale la pena di impegnarsi, ma equilibrato, solido e responsabile, capace di garantire sempre una risposta ai problemi che si pongono.
Maturato ai valori e cosciente delle proprie energie morali sarà anche capace di attuare quanto nel suo intimo crede vero, bello e buono.
5)    E si arriva alla meta dell’educazione morale: il primato della coscienza.
Dicevano di lui che era morto con la coscienza pulita: non l’aveva mai usata!
Il punto di partenza è che il primato della coscienza si connette strettamente con la percezione della propria vocazione (irripetibilità del proprio essere personale) e al tempo stesso rimanda all’assunzione di precise responsabilità sul piano storico.
La coscienza è funzione della persona (tutta impegnata nel realizzare il massimo bene possibile e nel realizzare l’uomo in quanto uomo) nella misura in cui è garante della libertà e di conseguenza di una autentica moralità. Tutto ciò che avviene contro la coscienza o anche solo a prescindere dalla coscienza, non può far crescere l’uomo in umanità. Operando le sue scelte morali l’uomo sceglie in definitiva se stesso, il proprio adempimento integrale.
L’uomo non può sottrarsi al peso della sua decisione, non scrollare di dosso la sua responsabilità e la sua imputabilità.
   Per esempio, in questo contesto la dimensione sessuata che è elemento costitutivo, non ignorabile e fattore di crescita, non trascurabile, anzi, assolutamente indispensabile.
Lo sforzo educativo deve comprendere questa dimensione che non è assolutamente secondaria e deve fare appello a tutte le risorse morali per potersi strutturare.
Io credo che una persona debba arrivare alla maturità con un equilibrio che è frutto di sforzi e tentativi, sbagli e successi; una maturità che è indice della capacità di integrazione della dimensione sessuale nell’ambito armonico della persona.
Se tale è il senso di uno sforzo educativo, è necessario aver ben presenti gli atteggiamenti che favoriscono lo sviluppo armonico (che non vuol dire affatto facile; è sempre frutto di sforzi e sofferenze) in vista di una capacità relazionale.
Si vedono talvolta consegnate alla vita delle persone di carattere composto, di esteriori rapporti equilibrati, di capacità intellettive e manuali notevoli, eppure segnate nel cuore da una incapacità ad amare con la propria dimensione sessuale (quasi staccata dalla persona) squilibrati negli affetti, incapaci di intessere legami equilibrati.
A livello educativo è un tabù: l’unico settore che è rimasto fuori dall’attenzione educativa. Lanciare nella vita certi soggetti significa aver fallito metà del proprio ruolo educativo.
Qui sto parlando di fallimento psicologico; un fallimento morale è un fallimento tout court. Se si vuole il bene della persona bisogna aver cura di tutte le sue facoltà e possibilità.

Una descrizione dello sforzo educativo nella vita affettiva.
   Il pudore (senso di tutela e custodia della propria intimità) sarà il primo elemento da rafforzare, per prendere coscienza che il mio corpo comincia ad appartenermi, ad essere me e per questo è inviolabile anche da parte dei genitori. E capite che questa risonanza è frutto di anni e anni di sforzi e di attenzione senza alcuna sdolcinatura.
   Lo sviluppo non sempre è armonico. C’è bisogno talvolta, andando avanti con gli anni, di divieti, necessari quando ne va di mezzo il bene dell’altro, la sua distruzione e la distruzione di sé. Noi la chiamiamo continenza. Attento all’acqua bollita, alla corrente elettrica, al gas, al fuoco: ti possono segnare ferite incancellabili. Ti possono far male ed io che ti voglio bene non voglio assolutamente questo. Perché non preoccuparsi di ferite che possono segnare in modo indelebile l’affettività e la corporeità? Normalmente abbiamo atteggiamenti di divieto su problemi morali: non rubare, non ti prendere gioco dei più deboli. Perché non nell’affettività? Sempre fattore morale è!
Divieto che non è affatto lo schiaffo e l’urlo: è la premura di aiutare a scoprire che c’è qualcosa di bello: tu puoi fare di più e di meglio! Di meglio c’è! Non chiuderti, non avere la sessualità come panacea di ogni risentimento, non lasciarti andare alla masturbazione …
Vale la pena di impegnarsi. Tira fuori dal tuo cuore le risorse morali: sono energie infinite. Poi talvolta nella vita non vengono fuori perché sono anchilosate come  muscoli mai esercitati: subito si stirano. La persona soccombe troppo facilmente. Non ogni comportamento umano nell’ambito dell’affettività edifica e costruisce la persona. E c’è una lotta per educare e vivere la propria crescita nell’amore, nella capacità di relazione.
Oggi un fenomeno strano: i giovani sono capaci di innamorarsi, si innamorano perdutamente per quello che sentono e fanno vedere…ma poi non sono capaci di restare nell’amore …
Il mistero dell’innamoramento: un perdere la testa per amore ed esplode la bellezza che ci fa sentire simili a Dio, l’Innamorato per eccellenza, il Creatore che ha perduto la testa per la sua creatura …
Innamorarsi è accogliere l’altro incondizionatamente, non per interesse, ma per la bellezza totale del tu, bellezza non solo dei sensi ma di tutto l’essere; bellezza misteriosa che determina la consegna di se stessi nelle mani dell’altro e che avrà bisogno di tempo per manifestarsi in tutta la sua fecondità.
Ma spesso l’innamoramento si smarrisce nel nulla, come un colpo di testa senza seguito: senza coraggio di scrutare il mistero del tu e dell’amore; senza pazienza e senza costanza nel cammino … senza speranza. Rapporti precoci, in amori bruciati, in grandi e labili trasporti emotivi, in passioni virtuali, in dipendenze lunghe e asfissianti, in legami inconsistenti perché basati su aspettative irrealistiche: la pretesa che l’altro debba soddisfare pienamente le esigenze del mio affetto, debba sapermi riempire …
Oppure legami futili perché costruiti sulla ricerca del piacere, senza trovarlo perché senza alcun disegno sul futuro e senza speranza …
E’ mai possibile che due ragazzi vivano il tempo dello scambio di affetto, della scelta d’amore, della vita di coppia, del fidanzamento, chiusi in se stessi, senza altro ideale che implodere su se stessi, di annoiarsi appiccicati l’uno all’altra? … a fissarsi negli occhi dopo un quarto d’ora viene a noia anche la Belen!
O che non scoprano la bellezza del vivere una castità[3] nuova ed inusitata, ma delicata e bella perché dona equilibrio di corpo e di spirito, serenità di rapporto, forza di progettazione del futuro … e non solo la voglia di strappare soddisfazioni al presente, … gusto di preparare una vita a due, fatta di tappe progressive dove anche il rapporto sessuale si trova ad un certo punto del cammino, anch’esso oggetto di speranza, di qualcosa che va preparato e atteso con trepidazione? La castità è il versante morale di quello che voi a livello psicologico proponete come sforzo di integrazione della persona di tutte le sue, di tutte le sue dimensioni nell’unità della persona. Qui ci sono altre motivazioni ma lo scopo è lo stesso: imparare ad amare e a rimanere nell’amore. Solo se casto saprai amare (non sto parlando di prestazioni ma di relazioni totali) perché unito in un solo volere, potrai spendere tutto te stesso nella gioia del dono di te all’altra persona. Amare con tutto se stessi: spirito, sguardo, sentimento, corpo, pensieri, desideri … non facili da coordinare.
Così si costruisce nella fatica e nella lotta della continenza la persona capace di amare una persona.
- Integrazione per l’amore vero, altrimenti sei nella strutturale fragilità. -                          

Un lungo percorso … costruire la relazione e rimanere nella relazione
   Per rimanere nella relazione amorosa che l’innamoramento investe, bisogna stare attenti ai pericoli (da fuggire) e lottare per rimanere nella scelta voluta.
Intanto serve farsi domande intelligenti senza lasciarsi spiazzare da un certo sentimentalismo, fino a  dire: sono felice quando sono a tu per tu con lui (domanda).
Poi la domanda: sono veramente innamorato? Non sono confuso dalla paura della solitudine con l’amore; non è per far vedere che qualcuno è stato conquistato da me … Ma, me la sento di lasciar perdere tutti gli altri per questa persona? Sono disposto a superare gli ostacoli per dare felicità e riceverla da lui? Sono capace di passare tutta la vita con lui? Man mano che la relazione si approfondisce ci si rende conto delle differenze e più emergono i difetti con i quali devo fare i conti. Ma se trovassi di meglio …? Ed ecco che molti giovani oggi specialmente rinunciano alla scelta: si cerca e  ricerca e si moltiplicano le avventure sempre più deludenti.
E poi ancora, ma è la persona giusta? Bisogna chiarirsi a lungo per vedere se sono possibili progetti comuni e ci vorrà tempo per parlare, per conoscersi, per osservare le reazioni dell’altro, per misurare la lealtà, la tenacia, il coraggio e l’apertura agli altri. Si vede pian piano se i progetti possono accomunarsi, se vanno nello stesso senso e sono conciliabili.
Ma io sono giusto/a per lui? Cosa troverà in me quando staremo insieme?
Poi si crede di essere arrivati e si cercano conferme nella vita sessuale e questo è il grande inganno. Fare l’amore non è indice di amore, ma solo dell’esistenza del desiderio sessuale e nulla è più incostante del desiderio sessuale che non dà garanzia sulla durata della relazione. Non è la panacea di ogni tristezza e delusione. E, ancora: voglio attraversare la vita con questa persona? Nelle difficoltà che incontrerò mi farebbe piacere avere questa persona accanto?
Una storia affascinante che ha attese esagerate e talvolta degenera in un ideale continuamente ricercato e mai trovato.
    Ma quando veramente posso dire ti amo?
Ti amo quando sono certo che tu vali così tanto che vieni prima di me … Mi sento amata/o quando mi sento di essere importante per te più di te stesso. Quando la sua esistenza è più importante della tua. Qui si può imbrogliare, ma ci si rimette sempre.
   Il pericolo è di restare sulla soglia.
Non decidere la propria storia ma lasciarsi vivere di compromessi: lo stare insieme e fare l’amore non vuol dire affatto che sia stata presa la decisione di una relazione amorosa. La decisione è fondamentale perché abbraccia tutta la vita della persona e proprio nel suo porsi, scioglie i dubbi e le riserve. Solo a compimento della decisione piena sarà possibile e veritiero l’uso della sessualità.
   Ci sono situazioni di ambiguità grande nel modo di pensare e di vivere la relazione amorosa. Si assiste oggi al disgregarsi della decisione: quando a poco a poco sfuma la decisione ferma rimangono i processi affettivi mai determinati, mai solidi e si rimane sempre sulla soglia della reversibilità: non viene tracciato nessun punto di non ritorno; nulla fa pensare alla irreversibilità.
I pericoli da evitare
   Il primo pericolo è quello di pensare che la sessualità sia una realtà separabile dal resto della persona: una capacità, una funzione da usare a piacere. La sessualità una cosa: azione deleteria. Il seguito di questo è inevitabilmente una educazione sessuale ferma all’informazione: come funzione e come si fa. La serietà della sessualità (libertà, amore, fecondità, comunicazione) in vista della relazione. Siamo davanti ad un mistero che possiamo solo interpretare e accogliere.

Necessità di un vissuto virtuoso
   Come risposta al dono della vita affettiva e sessuale la persona ha a disposizione la costruzione del proprio vissuto virtuoso attraverso atteggiamenti che sappiano ben dire la propria disponibilità a modellare la propria esistenza sulla lunghezza d’onda del valore capace di edificare e custodire la relazione.
Ad amare si impara a due condizioni,  la serietà dell’impegno (mai la mediocrità) e il realismo del cammino (il riconoscimento del limite).
   Bisogna imparare a volare alto: gli orizzonti minuscoli fanno uomini e donne di minuscolo amore; ideali grandi fanno persone che amano in grande. La mediocrità –di moda- è un ostacolo grande perché impedisce il coinvolgimento totale; sembra sempre che nulla valga la pena del “tutto”.
E’ quando sei davanti alla scoperta di una chiamata esagerata –amare totalmente e per sempre- e quando scopri che questa è la cosa migliore, la più degna dell’uomo, allora non puoi che impegnarti – nell’atteggiamento virtuoso della temperanza- a dare il meglio di te.
   Il senso del limite ci insegna ad avere un sano realismo sulla nostra condizione umana. Tutto può succedere; l’ambito affettivo specialmente denota e manifesta una fragilità enorme (in genere non è ben custodito).
“Non credevo che a me potesse succedere!” e perché no? “Proprio a mio figlio ben cresciuto ed educato! Non me lo meritavo!”
La fedeltà e non l’infedeltà deve stupirci in una realtà che è bella ma imperfetta. Si è soggetti al vagare della libertà del cuore, anzi di due cuori .… ditemi cosa non potrebbe succedere! Bisogna imparare il limite, l’imperfezione, la fragilità come condizioni che ci permettono di accettare anche i nostri peccati e i nostri limiti non come fallimenti di gente perfetta, ma come cadute di gente normale, imperfetta. E qui oltre la castità, la misericordia è la virtù madre: un cuore grande che capisce lo sbaglio, lo accetta come “umano” lo risolve consegnandolo alla croce di Cristo. Quella può tutto.

Accogliere la scomodità
   La scomodità non è nella sessualità che è bella e piacevole, ma nella relazione personale che ha una durezza ingrata che solo l’amore addolcisce. Difficile è capirsi, perdonarsi, donarsi … non fare l’amore.
Due libertà, due profumi, due sudori, due modi di reagire alla vita e alle sue circostanze, due storie, due famiglie d’origine. La totalità coinvolgente della sessualità rischia di mascherare la profondità dell’amore e sembra che già sia raggiunto il traguardo ben prima della formazione del legame nella sua profondità.
   Eppure Dio ha penato la sessualità come ricchezza immediata per ricucire quella relazione che il peccato originale aveva distrutto: qualcosa era rimasto che poteva servire per reinventare la relazione, per impedire all’uomo di rimanere chiuso in se stesso. Una forza motrice ad uscire conservando quel tesoro prezioso nascosto sotto una foglia: solo da donare alla relazione fondata e fondante alla persona alla quale puoi dire: ti amo più di me stesso.
   Non basta sapere come si fa senza il senso artistico del rispetto del mistero. Senza il gusto del mistero (e la sessualità è un mistero), della sessualità si comprende ben poco. Siamo davanti a qualcosa che non facilmente spiega se stessa, che sembra avvolta da incomprensibili, e per questo banalizzabili,  oscurità. Immensa la sua importanza per tutta la persona che non è possibile definirla: definire è possedere l’anima di una cosa, come Adamo davanti a Eva: solo un grido di meraviglia e di stupore. Una preghiera, una invocazione! E la prima accoglienza della vita affettiva nella sua totalità.
Secondo ostacolo: la ribellione eterna dell’io
   L’io personale fa un lungo cammino per trasformare l’innamoramento in amore; il vissuto estetico/estatico in scelta definitiva che fa dire in verità: io l’amo più di me stesso! Sono disposto a donare tutta la mia vita per lui. E’ un esodo senza possibilità di ritorno sancito da una decisione che salta il tempo riempiendolo di un senso che solo la libertà riesce a conferirgli.  E’ la decisione che annienta la paura e le angosce, la sensazione di un impegno senza limiti … ma devo smettere di stare sulla soglia: sulla soglia non si ama. Solo la decisione che sa osare riesce a togliere il dubbio. Bisogna buttarcisi con tutta la nostra forza e con tutto noi stessi, riscaldando almeno le zone d’ombra che ci portiamo dentro. Ma bisogna sapere almeno chi siamo, su cosa possiamo contare di noi stessi.
L’io sperimenta il proprio limite che lo rende vulnerabile e non accetta di essere dimesso e perdente: ha paura di giocarsi tutto e quindi ha sempre qualche riserva perché non si sa mai (mai la totalità); la paura di giocare la propria libertà come se la si potesse perdere legandosi: è vero che essa c’è solo se si lega. Così ha un senso. Una fragilità della volontà che non sopporta di doversi impegnare a perdere, senza garanzia di rientro nel guadagno: perché soffrire e lottare se non c’è garanzia? Perché rischiare? E si rimane sulla soglia per paura di entrare. Quando l’io non fa il passo dell’uscita da sé.
Se vuoi una relazione stabile osa la decisione totale e definitiva: solo così conoscerai la verità della relazione.
Bisogna rischiare di penetrare nella profondità infrangendo pareti sempre nuove e dure … e questo procurerà dolorose ferite … ma solo così vedrà l’intimità dell’amato.
Terzo ostacolo: la conoscenza delle proprie possibilità
   Una persona che decide una relazione deve guardare se ha le caratteristiche che permettono di stabilire una relazione. C’è sufficiente maturità umana per avere rispetto, per la relazione? Ci sono abbastanza virtù umane cardinali e anche cristiane per comprendere che posso avere una levatura che permette di essere affidabile? La virtù della fortezza, la temperanza, la prudenza …
Ma pensate che si possa amare senza avere quella saggezza che mi fa scegliere il bene e avere la forza per portarlo a termine senza recedere, costi quel che costi? Ma pensate che sia possibile avere una sana relazione se manca quel senso di giustizia che mi rivolta prima di fare un torto, prima di mancare di rispetto alla persona? Pensate che si possa amare senza la temperanza che riesce ad indirizzare le mie passioni, siano esse dell’ira o della gola ad un giusto e nobile fine? E la fedeltà che comincia con la lealtà alla parola data e diventa conferma, contro l’opacità del tempo, della decisione presa con una persona?
Se vuoi avere una relazione stabile sii ricco di virtù! Di tutte le virtù.
Per custodire la relazione
  1. Guardare nella stessa direzione. Positivamente. Che fatica guardarsi sempre negli occhi: dopo 15 minuti chiunque viene a noia a chiunque. Per salvare la relazione amorosa ci vuole un progetto che sappia coinvolgere le ricchezze e le diversità dei due. Ci vuole un progetto che sappia permettere a noi di poter agire in libertà e destrezza senza recriminazioni: noi non bastiamo a noi stessi. Avere un progetto è il senso del legame: io e te per che cosa? Se non c’è meta da raggiungere il nostro incontro sa tanto di un mesto e narcisistico ritorno alle proprie radici. E qui il disegno di Dio è meraviglioso …
  2. Bisogna lottare. In ogni cosa umana c’è uno scarto tra l’essere e il dover essere, tra quello che sei e quello che vorresti essere. Ma se vuoi umanizzare la tua umanità devi lottare. Per di più: niente è scontato, neppure l’amore più appassionato. Se vuoi custodirlo devi lottare perché se non lotti hai perduto. Il disimpegno, l’apatia sono malattie mortali. La lotta è la grande sfida di oggi. A noi pare che una volta fatta la conquista, le cose debbano andare in un certo modo, e non mettiamo molto impegno a far sì che la relazione vada secondo una pienezza significativa. Lottare stanca, ma nessuno ha mai conquistato vette senza fatica; nessuno è mai cresciuto nell’amore dell’altro senza una lotta continua e dolorosa contro se stesso! La lotta per il bene e il meglio può stancare ma non può deludere quando sia emanazione della ricerca della propria levatura umana che non è già data, ma frutto di una lotta, di una agonia continua che portano a maturazione le potenzialità di ogni persona. Se vuoi una sana relazione: lotta! Nulla di bello viene al di fuori di una costante e appassionata resistenza al proprio io e alle proprie manie accentratrici e narcisiste. E la lotta è umiltà, semplicità, riconoscimento delle doti dell’altro, riconoscimento delle proprie debolezze. Riconoscere che poi alla fin fine non siamo un gran che!
  3. Essere spiritualmente ben nutriti. L’amore è da Dio e tocca lo spirituale e troppo oggi è visto come elemento superficiale e poco efficace. Eppure c’è uno strano meccanismo divino: l’agire di Dio termina al corpo e cerca di farlo diventare spirito. Non nella negazione della corporeità e nell’assottigliamento del fisico in un ossessivo fitness, e neppure nel deperimento della vecchiaia. Il corpo si spiritualizza nel dono di sé quando scopre il suo destino definitivo: essere trasfigurato dall’amore.
Ci vuole una fierezza divina per amare con tutto se stesso. Ci vuole uno stile di vita che sappia attingere alle sorgenti invisibili dove sta l’amore; che sappia vedere oltre le apparenze per non fermarsi all’inganno delle cose possedute; che sappia penetrare la realtà con occhio spirituale per non lasciarsi conquistare dalla vita frenetica e consumistica.
Lo spirito non è conquista, ma purificazione del corpo che – con tutta la sua consistenza – rischia di farci pensare alle cose e solo alle cose; al corpo e solo al corpo. Ora è vero che il corpo è difficilmente sopravvalutabile, ma non può arrogarsi il diritto di imporsi a discapito di tutta la persona per la forza della sua presenza. Ma bisogna essere carnali fino in fondo, fedeli alla propria corporeità, fino alla verità della carne che è la sua spiritualizzazione nel dono. Questo il destino del corpo e allora perché fermarsi al corpo? E perché non amare proprio questo corpo?
Se vuoi una relazione sana cerca di entrare nell’intimità, custodisci la tua interiorità, ama il tuo segreto, impara la dolcezza della Grazia, vivi la compassione e diventa contemplativo. Impara ad amare il silenzio nel rumore della vita e nel silenzio della preghiera.
Vivi spiritualmente e sarà vera anche la tua carne.

  1. Il Corpo è il luogo del dono ed insieme dono del luogo.
- I significati e il senso del corpo da accogliere. Non si può che partire dallo stupore per il mistero del corpo umano. L’uomo ha una dipendenza radicale, nella sua nascita, da un umile ventre femminile; spirituale fin nella carne e spirituale fin nel suo spirito: così è concepito il figlio dell’uomo.  Un corpo umano non è astrazione: è l’esito di determinazioni storiche, naturali, umane e sovrannaturali.
Il corpo ha una funzione protettiva nei confronti dell’anima: se ci fosse solo l’anima forse non resisteremmo. L’anima non potrebbe celarsi, sarebbe esposta. Il corpo le fa una barricata per nascondersi dietro. Il corpo protegge quello che vi è di più umano nell’uomo e di più divino: la coscienza e la sua libertà di aprirsi. E coloro che torturano ben lo sanno; e i martiri rivelano il valore divino del corpo capace di sofferenze e di segreti. Il martirio è una esaltazione del corpo, una epifania, nel corpo umano, del Dio creatore e salvatore.
La dipendenza dal corpo dell’anima, dello spirito, è stupefacente e scandalosa. Una vena si chiude? Ecco un paralizzato. Uno accecato dal male spara? Ecco un morto. Uno è ridotto al nulla. Il corpo umano va soggetto a degradazione: la malattia, la vecchiaia … la morte.
Il copro è possibilità e limite: è il luogo delle possibilità espressive della persona. Nel corpo scopri il limite: la fragilità, la caducità, la creaturalità; pensate al copro malato come esperienza della fragilità che troppe volte fingiamo di ignorare. Ma nel limite si evidenziano le possibilità reali, oggettive senza rinunciare a nulla di quello che è possibile.
Cerchiamo di leggerne in sintesi il senso.
- il corpo è mezzo di espressione dell’autonomia personale: noi abbiamo coscienza dell’unità e dell’identità del corpo: è nostro in modo inequivocabile. Nel corpo si fa visibile il nostro intimo; attraverso il corpo è esposto agli sguardi degli altri il nostro cuore. L’esteriorità ci getta totalmente in discussione.
- il corpo è il mezzo di espressione del nostro legame col mondo: col cosmo in primo luogo, in quanto legato a tutto il sensibile con il quale instaura uno scambio; con il tu umano, è il corpo che permette di essere presenti e percettibili gli uni agli altri; corpo significa dialogo prima della comunicazione e comunione prima di ogni altra organizzazione; con l’intera comunità umana, infine, perché è il crocevia delle generazioni: proprio là dove il corpo celebra la sua forza, la natura vuole rompere il cerchio chiuso dell’esistenza di un uomo ed usare la forza raccolta dei corpi come seme di vita nuova; proprio là dove l’uomo sperimenta il corpo massimamente come suo, esso non è più il suo, gli diviene strumento della invadente volontà di vita.
- il corpo è mezzo ed espressione del nostro legame con Dio: nel punto più alto e profondo dell’esperienza corporea (gesto sessuale) siamo rimandati con urgenza verso una salvezza da sperarsi. Corporeità e sessualità non si esauriscono tra gli uomini: nell’essere uomo e donna, l’uomo agisce umanamente e divinamente, dispiega la gloria dell’amore divino.
  1. Sii casto
E’ la virtù che “regola secondo un ordine autenticamente umano la sessualità perché, integrata nelle sue diverse componenti, riesca ad esprimere tutte le sue potenzialità di forza, di amore creativo nel rapporto interpersonale[4] Essa non è privazione, ma investimento sulla creatività sessuale in vista dell’amore che abita il rapporto interpersonale. E’ la capacità di ordinare le diverse dimensioni della sessualità che diversamente, divise, sarebbero indebolite. Da questo punto di vista, senza la castità, c’è un indebolimento della persona nella sua capacità di amare. Integrare e armonizzare tutte le componenti della sessualità per il discorso di amore che è il vero fine della sessualità.
  1. Fare i conti con la propria morte: mistero pasquale
Per ultimo, ma non meno importante, anzi, proprio perché per amare bisogna imparare ad accettare le proprie “morti” che sempre ci sono nella relazione, il bisogno di celebrare la Riconciliazione sacramentale e di andare a Messa. Confrontarsi con la definitiva disfatta che è la propria morte è la condizione per morire a se stessi senza paura di perdere qualcosa: tutto è già salvato. Ci vuole un bagno di umiltà nella pozza dei propri limiti e dei propri peccati per non scandalizzarsi dell’altro; bisogna essere stati perdonati per avere misericordia e perdono da donare in abbondanza. Bisogna aver sperimentato con gioia e con frequenza il mistero pasquale di morte – tomba e Resurrezione nell’Eucarestia per comprendere il senso del morire a se stessi per donare la vita all’altro.
Non si tratta di conoscere un mistero, ma di partecipare ad una esperienza di fede nella quale la dinamica del dono di sé mi attraversa come un dono che dal mio Signore passa a me. Fare il mistero della morte e resurrezione per essere nella verità della relazione anche quando agli occhi nostri sembrerà una relazione impossibile. Lì l’eccesso di amore che non ti lascia indietro e che ti permette di vivere qualunque relazione, proprio perché quella relazione – ripeto: comunque essa sia – è stata già vissuta e redenta.
Ma chi parla più della morte.
Nelle case è più facile parlare di Dio che della morte!!! E’ tutto dire!






[1] Gli assunti teologici di questo magistero sono l’oggettivazione del sesso (parlare e oggettivare, uccidere il segreto, il mistero, che, malgrado tutto rimane attaccato alla sessualità) in cui il “tutto è lecito” diventa il criterio assoluto ma incapace di inserire la sessualità in un progetto che la socializzi, e l’attivismo del piacere, la necessità della riuscita, vero e nuovo mito: il successo sessuale è il valore fondamentale. La vera anormalità è non riuscire. Ne segue l’angoscia di non saper fare e di non essere adeguati alle prestazioni oggi richieste.
[2] E’ la cultura del narcisismo: la propria crescita, la propria integrazione, il proprio sviluppo, i propri valori, i propri diritti sessuali. Un concentrarsi su di sé con un grandioso senso di sé, con fantasie di successo illimitato, con un bisogno di attenzione e ammirazione e con conseguenti disturbi nelle relazioni interpersonali. Il narcisista tende a fare dell’altro un oggetto da sperimentare come parte del proprio sé e a togliere all’altro la sua personalità: gli altri contano in quanto ammiratori. Il sé grandioso cerca una conferma nelle relazioni sessuali, nelle sensazioni sessuali. L’altro non è uno cui ci si apre: è uno da prendere; ci si apre solamente ai propri sentimenti: l’incontro con l’altro termina con un ritorno a sé. E’ uno sforzo di autorealizzazione, quello centrato sul bisogno, che elude anche il presente: sempre proiettato verso il futuro.
Il narcisista pensa di donarsi totalmente ma non si dà per niente; in realtà si ripiega su se stesso per guardarsi mentre prende l’atteggiamento del dono (Gesù diceva che la sinistra non deve sapere cosa fa la destra); così affoga Narciso. Il momento in cui si specchia e quello in cui annega non sono momenti staccati: è proprio quando annega che si ammira di più, si perde nella controparte convinto di essere un puro dono.
[3] Un valore di cui nessuno parla. Prima ce lo davano come umiliante divieto; oggi lo nascondono per non spingere al faticoso cammino risparmiandoci la lotta. I giovani hanno rigettato alcuni valori, e ne hanno altri, ma non sono senza valori. Ma diamo loro spiragli di speranza!
[4] C. Zuccaro, Morale sessuale, EDB, Bologna, 1997, 194.